mercoledì 25 giugno 2014

Per niente "tristi" a Trieste


È stata la mia prima volta a Trieste, una città affascinante, piena di fantasmi. 
Ci sono i caduti della Grande guerra che vegliano dall'alto del Parco delle rimembranze, dove alberi e pietre riportano il loro nome, e ci sono le memorie del magazzino 18, al vecchio porto. Lì aspettano il ritorno dei loro proprietari, dal 1947, i mobili e i ricordi degli esuli dell'Istria e della Dalmazia, che hanno lasciato le loro cose in attesa di portarle in nuove case. Molti sono emigrati, e ormai nessuno tornerà a rivendicare quello che con tanta cura aveva portato con sé nella fuga.


Trieste è una città strana, persa in riti e storie d'altri tempi. La cattedrale di San Giusto era piena come non ho mai visto nessuna altra chiesa, per la consacrazione di quattro nuovi preti, e altrettanto affollati erano i vecchi bar e le osterie, tra i pensionati che sorseggiavano un bianchino (e i 30 mila ragazzi venuti per il concerto dei Pearl Jam). Le statue di Joyce, Svevo e Saba facevano parte del paesaggio urbano e il tassista che ci ha portato al concerto stava leggendo nell'attesa un libro Thomas Mann.


Trieste è una città schizofrenica, divisa tra l'Austria e il Mediterraneo. Metà dei ristorantini del porto servivano stinchi di maiale, würstel e crauti, l'altra metà pesce, e da sempre il giardino "all'italiana" del castello Miramare lottava con la bora. Stavolta era stato sconfitto al punto che tutte le piante erano morte e doveva essere portata nuova terra per ricrearlo da capo, come succede periodicamente fin dai tempi di Massimiliano D'Asburgo.



 Ps Con la scusa di non saper scegliere tra cucina di mare e mitteleuropea A. ha cenato almeno tre volte in una sola sera. Prima a un buffet marinaresco, con una sorta di tapas del Nord Est all'Antipastoteca di mare (tra gli altri assaggi: spuma di merluzzo, sardacce in sesame, alici in saor, polenta bianca, crostini). Poi con un piatto di fusi allo scoglio. E ancora, in un altro locale, il buffet Da Bepi (in Via Cassa di Risparmio 3), con un vassoio di maiale lesso, dalla lingua alla guancia al cervello ad altre delicatezze per palati fini. Ha chiesto poi se poteva avere anche dell'altro e gli hanno portato un piatto pieno di piedini di porco. Ha domandato se avevano ancora qualcos'altro e gli hanno detto che aveva finito tutto, ma potevano fargli due salsicce. Si è mangiato pure quelle, poi abbiamo preso un gelatino e siamo andati a nanna. Ha dormito come un bambino.


3 commenti:

  1. Di Trieste so ben poco. La mia prima 'maestra' di lingua italiana era una mezza-pazza pensionata e mi sembra di aver capito che sua madre fosse di Trieste ed il padre torinese ma era fissata su Trieste, ne parlava spesso. In Amazonia, dove tutti gli oriundi erano lucani, campani e siciliani, lei insegnava l'italiano con grammatica e vecchie canzoni del nord ed il risultato si vede: ancora oggi mentre stendo il bucato mi trovi a canticchiare la campana di san giusto! ;|

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